Siete tutti di nuovo a Kelnar, vicini al pozzo vi siete gettati poche ore fa. A fianco a voi un diario.
Druss. L’unica cosa così vera da non lasciarmi mai.
Da quando siamo qui, non so come, mi sembra di essere uno scoglio immobile nel mezzo del mare in tempesta. Attorno a noi passano mondi vorticosi. Tutti i mondi mai esistiti e che mai esisteranno. E noi delle schegge bloccate a metà di una traiettoria esplosiva.
Il Nodo dei Sogni è un luogo senza tempo e senza geografia. Non ci si sposta, sembra che la terra ti cammini sotto i piedi. Anche il mio corpo a tratti non mi sembra più mio perché non chiede nulla: nutrimento, riposo, cura. Niente. La magia che mi scorre dentro non si esaurisce mai. L’unica cosa che sento viva è il sigillo che Deven ci ha impresso addosso, a me, a Druss e a Silgor. Silgor il folle, l’elfo traditore di se stesso, il mago dissonante. Siamo banditi qui per intrappolare lui, in questo spazio di infinite realtà. Il sigillo ci impedisce di attraversare i Pozzi. Ci rende zavorre pesanti incapaci di percorrere la strada all’indietro che riporta, ogni mattina, chi dorme alla realtà della veglia.
Incontrare il nostro avversario crea spazi di caos che lacerano il disordinato ma comunque pacato fluire dei sogni delle creature mortali. I nostri scontri avvengono sul confine che separa il Nodo del Sogno da quello dell’Incubo. E’ lì che Silgor abita e si muove, strisciando tra i desideri feroci e le paure che assalgono di notte il riposo di chi dorme. E’ l’altra faccia della Dea, il volto della distruzione.
La Dea mi parla, come faceva una volta. Da quando la magia mi scorre nelle vene posso sentirla. Qui non ho bisogno di dormire perché lei mi raggiunga. Mi ha detto che i miei occhi possono rimanere aperti per sognare. Così ho sognato Kalea, il bianco porto, la nostra casa. Abbiamo percorso le amate strade tenendoci per mano, fino all’Osservatorio. Non credevo che i sogni avessero il potere di andare ben oltre l’immaginazione di chi li vive. Abbiamo visitato Kalea o sono quei luoghi ad aver visitato noi? Ci hanno veramente visti entrare nel luogo in cui mio padre osservava le profondità del cielo per comprendere ciò che accade sulla superficie della terra o ne abbiamo semplicemente evocato il ricordo? Abbiamo camminato sul confine tra il sogno e la realtà e per un attimo ci è sembrato di tornare.
Abbiamo salito le scale dell’Osservatorio, un gradino dopo l’altro, verso la sommità della torre che è stata casa per molte altre vite oltre la nostra. Il luogo in cui i compagni e le compagne si riunivano, gioivano, si raccontavano e soffrivano per le perdite subite. Il luogo in cui sono cresciuto e sono stato felice. Il luogo in cui ho rivisto mio padre, visitandolo dal Nodo dei Sogni.
La prima cosa che ho sentito è stato il tonfo regolare e leggero del bastone sul soffitto, indizio del suo incedere zoppicante. Ho stretto la mano di Druss e l’ho trascinato di corsa all’ultimo piano. Aristarc, mio padre, era di fronte a noi. Esattamente come lo ricordavo con lo sguardo assorto a guardare il cielo, avvolto nelle sue vesti blu. Mi ha sorriso così forte che i suoi occhi si sono chiusi per far spazio sul volto a tutto l’amore che mi poteva trasmettere. Erano sempre così i suoi sorrisi. I suoi piccoli occhi scomparivano e non aveva più bisogno di guardarti per farti sentire ben voluto. Mio padre, poi, ha sempre saputo vedere ben oltre la portata di uno sguardo. Sono corso verso di lui, verso un abbraccio di cui sento la mancanza da troppi anni ma che non ho trovato. Mio padre era scomparso.
Druss mi ha circondato con le sue braccia e siamo rimasti lì per un po’. Per un po’. Dire il tempo qui non ha senso. Siamo rimasti lì.
E’ stato poi lui a farmi segno di guardare nel cannocchiale. Mio padre non stava guardando semplicemente il cielo, le lenti puntavano sulla superficie netta e luminosa di Acate.
Oltre a mio padre, abbiamo visitato, o siamo stati visitati, dai nostri compagni e dalle nostre compagne. Ma con loro è stato diverso. La loro figura non era definita e soprattutto, al contrario di Aristarc, non sembrano averci visti. E’ come incontrarsi sul pelo dell’acqua: la luce viene distorta dal liquido e le immagini che stanno sopra o sotto sono deformate. Diventa difficile riconoscersi. Abbiamo visto Danae, l’amica che è per me una sorella, compagna di avventure e di vita gioiosa, Sayeh, la sacerdotessa della Dea, che nella devozione ha trovato la fiducia in se stessa e ha avuto il coraggio di sopportare il peso più pesante di tutti: quello della colpa, e Klomar, il guardiano, fratello fedele al fianco della sorella per sostenerla nel suo dolore. Ho cercato di prendere per mano Robin, cacciatore fragile e inquieto alla ricerca di una luce che lo porti lontano dalle ombre. A guidarlo, mia madre, Kassandra. Le ho accarezzato il volto vedendola stargli a fianco come con me non è mai riuscita a fare. I suoi occhi ormai per sempre tristi e persi nella consapevolezza di essere condannata a perdere chi ama nel corso della lunga vita a cui il suo sangue elfico la condanna.
C’è una cosa di cui sono sicuro: Deven mi ha visto. Forse solo per un istante, ma i nostri sguardi si sono incrociati e riconosciuti attraverso la linea che separa e distorce la realtà dal sogno. Deven che da troppo tempo pensa che la sua anima e il suo destino siano segnati da un antico patto. Il compagno che ha rinunciato alla redenzione. Quanto avrei voluto dirgli che io invece non ho rinunciato a lui.
Gurt non l’abbiamo mai incontrato. Sembra che il nostro amico nano sia scollegato dal Nodo dei Sogni. La sua virtù lo tiene lontano dall’impeto e dal caos del desiderio. Mi sento triste per lui, o forse è solo che ne sento la mancanza. So bene che per seguire la sua via serve una grande forza di volontà e un profondo equilibrio.
Ogni volta che riusciamo ad interrompere la lotta perpetua con Silgor, io e Druss vaghiamo nell’incessante mutevolezza dei Reami della Notte. E’ morbido e meraviglioso questo cambiare, mai brusco o turbolento. Ci sono luoghi riconoscibili e altri completamente estranei. Forse stiamo scoprendo l’infinito e le sue forme. Forse è così la danza della Fonte.
La Dea ci ha condotti su una strada nel cielo. Abbiamo camminato verso le stelle, nello spazio che le separa. Di ciò che abbiamo visto non riesco a dire. Tutto quello che sta oltre i confini della nostra immaginazione avrebbe bisogno di un racconto che ci metterei tutti i tempi di tutti i mondi a scrivere. Abbiamo attraversato le Girovaghe, guardandoci negli occhi alla luce delle loro code. Sono fatte di mille colori che esplodono al ritmo di una musica che è bellezza stessa fatta a suono. E’ il canto della Risonanza, tutto il mio corpo ha vibrato e per un istante ho sentito come che potessi scomparirvi dentro. Se non ci fosse stato Druss a tenermi, forse mi sarei lasciato andare e mi sarei unito a loro, nel viaggio senza fine verso la Dea.
Per quanto sia un mondo completamente vuoto, Acate ci accoglie. La terra del riposo di Cromne è viva. Il suolo si illumina e si scalda sotto i nostri passi mentre seguiamo la voce della Dea che ci conduce al suo giaciglio. Una costruzione colossale, che sarebbe impossibile non vedere anche dai cannocchiali meno potenti di Olon, si staglia sulla superficie di Acate. Il Palazzo del Tempo, il luogo in cui è iniziato il primo sogno, quello che ha portato alla creazione del mondo che conosciamo.
Entrarvi dentro è come entrare nell’infinito stesso. Uno spazio in cui non ci sono dimensioni e direzioni, solo lampi e suoni e ogni sensazione di ciò che è possibile: la speranza, e di ciò che è stato: la memoria. In un luogo che è qualsiasi e nessun luogo, riposa la Dea, Cromne. Immobile, nel suo sonno di cristallo, emerge luminosa ma senza rompere il buio, visibile ma celata dall’ombra del tempo. Intorno a lei, gocce di luce salgono e scendono. Sono fatte di nostalgia, volontà, destini.
Non ci sembra più di camminare, muoversi è un gesto della mente. Nel cuore dell’esistenza non possiamo fare altro che stringerci e per un attimo i nostri corpi sono fatti della stessa luce, dello stesso buio di quelle gocce che danzano attorno a Cromne.
Al cospetto della Dea, io e Druss ci giuriamo che nemmeno l’eternità sarà un limite sufficiente per raccontare del nostro amore.
“Le nostre vite non sono nostre. Dal grembo alla tomba siamo legati ad altri. Passato e presente. E attraverso ogni crimine ed ogni gentilezza, diamo vita al nostro futuro.”
Cromne ci ha ascoltati.
Sciolti dal nostro abbraccio con la Dea, ci ritroviamo di nuovo su Acate. Il Palazzo del Tempo è scomparso, al suo posto riconosco subito la struttura di un Pozzo. E’ delimitato da bassi muri fatti della stessa pietra della luna. Corrono sulla sua superficie a disegnare un simbolo magico. Al centro del simbolo, un buco. Nessuna luce vi può entrare e il buio è totale fin da che la voragine si apre sul suolo. I sigilli impressi da Deven sui nostri corpi si illuminano debolmente, pronti ad attivarsi e respingere un nostro tentativo di attraversare i portali che collegano il Nodo del Sogno a quello Materiale. E’ lì, sul bordo di questa impraticabile via di fuga, che mi metto a scrivere finchè ho pergamena ed inchiostro ed è in quel Pozzo che getto queste parole affidandole al destino che potranno incontrare. Affidandole a te, che ora le stai leggendo.
Ti prego, abbi cura di esse e, se potrai, delle persone di cui ti ho raccontato.
Voglio dirti che non esiste nessun luogo e nessun tempo in cui sia impossibile trovare la speranza.
Voglio dirti che bene e male non esistono ma esiste chi nella sofferenza riesce comunque ad amare e chi invece in essa resta intrappolato.
Voglio dirti che, chiunque tu sia, da quaggiù io ti vedo e, profondamente, ti voglio bene.
Seiros Nivelen Sovon
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